Ritenuta d’acconto, cos’è e chi la versa
Chi lavora da freelance in modo occasionale, solitamente la conosce bene: la ritenuta d’acconto. Si tratta, in breve, di un pagamento anticipato dell’imposta sui redditi (Irpef) effettuato dal committente.
Non è una modalità contrattuale, come potrebbe far pensare la diffusa espressione “lavorare in ritenuta d’acconto”. Capire la natura di questo versamento è importante perché, specialmente per chi lavora nella Gig economy in modo saltuario, non è raro trovarsi nella condizione di aver versato l’anticipo di un’imposta in realtà non interamente dovuta.
L’Irpef, infatti, non deve essere pagata se nel corso dell’anno il lavoratore autonomo non ha guadagnato più di 4.800 euro. Tale imposta, pertanto, è dovuta solo per quella fetta di reddito che sta al di sopra di tale soglia. Ma andiamo con ordine, prima di addentrarci in un’analisi pratica.
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In quali casi viene versata la ritenuta d’acconto?
Questo anticipo sul pagamento delle imposte sui redditi si applica nei casi in cui la prestazione lavorativa è:
- Autonoma (ovvero senza controllo diretto del committente), ad esempio attraverso il contratto di lavoro autonomo occasionale che caratterizza la gran parte dei “gigs” in Italia.
- Effettuata da un lavoratore NON titolare di partita Iva.
- Commissionata da un soggetto, al contrario, titolare di partita Iva. Ovvero: imprese, professionisti, società.
Il committente, nelle condizioni sopra indicate, agirà come “sostituto d’imposta”, cioè si farà carico di riscuotere dal lavoratore l’anticipo dell’imposta (ritenuta d’acconto) e di versarla allo Stato al posto suo.
A quanto ammonta la ritenuta d’acconto?
Si tratta di un prelievo del 20% che viene trattenuto dal compenso lordo pagato dal committente, fatti salvi i contributi previdenziali. Nel caso di soggetti non residenti in Italia il prelievo sale al 30%. Al lavoratore verrà dunque detratta la ritenuta d’acconto dal suo compenso lordo.
Come avevamo visto in un precedente approfondimento, le ritenute d’acconto eventualmente non dovute dovranno essere recuperate mediante la dichiarazione dei redditi. E’ importante esserne a conoscenza perché, anche nei casi in cui la dichiarazione non risulti obbligatoria, presentarla è l’unico modo per recuperare, sotto forma di credito d’imposta, le ritenute d’acconto non dovute.
Come presentare la dichiarazione dei redditi?
I vari committenti sono tenuti a fornire al lavoratore autonomo la certificazione unica sulle somme retribuite, comprensive della componente versata come ritenuta d’acconto.
Qualora le prestazioni (anche gigs) siano fornite a soggetti titolari di partita Iva (imprese, professionisti) è bene sollecitare, entro gennaio, la spedizione delle certificazioni uniche dai vari committenti.
A quel punto, si procede alla compilazione del modello 730 per la dichiarazione dei redditi. (Per approfondire le modalità per la compilazione, vi rimandiamo alla nostra guida).
Facciamo un esempio del recupero delle ritenute d’acconto non interamente dovute.
Prendiamo il caso di uno studente che abbia effettuato, durante l’anno, un’attività di gig working il cui reddito sia stato complessivamente di 5.000 euro lordi. Le ritenute d’acconto versate dai committenti sono state pari a 1.000 euro (il 20% della somma lorda).
Tenendo conto che la no-tax area Irpef per le prestazioni da lavoro autonomo è di 4.800 euro, lo studente sarebbe tenuto a pagare l’imposta solo su 200 dei 5.000 euro guadagnati. Dai 1.000 euro di ritenute anticipate dai committenti, dunque, lo studente recupererà un credito d’imposta pari a 954 euro.
Questo perché sui 200 euro sui quali l’Irpef dev’essere pagata si applicherà la prima aliquota, al 23%, che implica un pagamento allo Stato di 46 euro.